Fabio Zuffanti è una ulteriore vittima della voce del padrone, disco verso il quale ha un debito infinito e sotterraneo. Adesso però Fabio ha deciso di risparmiare soldi che altrimenti avrebbe buttato via dall’analista, dichiarando apertamente il debito verso quella strana esperienza musicale che nel 1981 spazzò via dalle nostre orecchie i cascami dei cantautori politicizzati e quelli dei complessini romantici con voci da castrato barocco. Tutte espressioni che avevano avuto anche una loro dignità, ormai sfilacciate nel più trito manierismo, ma che Battiato, già passato attraverso le canzoni d’amore e la sperimentazione politica, riprendeva e rielaborava in canzoni dalla forma normale fatte di strofe e ritornelli. Il ritorno all’ordine: non c’è scandalo più grande.