In questo improbabile ma ben strutturato contenitore il trio riesce ad accostare con sfolgorante dispiego di personalità le trame infide dei June of ’44 ed il math-rock dei Don Caballero, gli accenni post-funk dei Gang of Four e l’atonalità dei Bachi da Pietra, i passaggi obliqui di Stefano Pilia e la frenesia dei Primus, così come le digressioni colorite degli Ulan Bator e le bizzarrie dei Three Second Kiss: lo fa con naturalezza, senza creare brusche fratture, mai consegnandosi al mainstream, mai eccedendo nello sperimentalismo più arido ed autoreferenziale.
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